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- «Nella primavera del 1966 Mario Cignoni, un geologo innamorato della
sua isola, giunto in località il Piano di Rio s'infilò in un'apertura dove scorse ceramiche e resti ossei. La grotta, poi detta di San
Giuseppe, si trova a pochi metri dalla voragine che nei mesi scorsi si è creata sulla strada provinciale. La stretta fenditura,
posta ai piedi di una collinetta, è lunga circa 30 metri e, durante l’ultima
guerra mondiale, veniva usata come rifugio. Un’accurata ispezione portò alla luce ossa
lunghe e resti cranici appartenenti tre individui, nonché parecchi frammenti
ceramici di vasi “a fiasco” e due punte di freccia di roccia silicea durissima,
contenente quarzo con mischiati atomi di ferro. L’Istituto di Paleontologia
Umana dell’ateneo pisano stabilì che si
trattava di una necropoli relativa alla cultura di Rinaldone, cioè a quel fenomeno
culturale diffusosi nella Toscana e nel Lazio settentrionale durante
l'eneolitico. Quella cavità era stata usata come sepoltura collettiva nella
tarda età del rame, fra 4000 e 3800 anni fa. Questo ha consentito di fissare la correlazione fra
quegli esseri inumati e le miniere di Rio, fra la metallurgia del rame e il suo
commercio. Dal 1967 al 1969 si svolsero altre campagne di scavo, al termine
delle quali risultò che nella grotta di San Giuseppe erano stati sepolti almeno
90 individui; i maschi adulti avevano una statura media di 166 centimetri, le
femmine di 150; di 34 individui fu possibile calcolare l’età di morte: i più
giovani erano morti a 3-9 mesi, i più vecchi a 50 anni. Si trattava di una comunità
ristretta e caratterizzata da accoppiamenti fra persone legate da vincoli di
parentela che a ogni modo, praticava una dieta alimentare equilibrata e ricca,
sinonimo di un elevato status socio-economico». Nicolini (G)