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un articolo di Umberto Canovaro pubblicato sulla rivista La Piaggia (Estate
2013). «Negli arcipelaghi italiani si contano
almeno tre isole con lo stesso nome, e cioè Palmarola, vicino a Ponza,
Palmaria, davanti a Porto Venere, e la nostra Palmaiola. Com’è possibile
intuire, l'etimologia nasce dalla presenza di una particolare vegetazione,
essendo stata l'isola, sicuramente, nel passato ricca di palme. Nell'attuale,
sembra che siano rimaste appena un paio di ceppaie (sopra la zona di Cala del
Frate), del tipo chamaerops humilis (palma nana o palmetta di San Pietro) a far
mostra di un antico splendore botanico che, purtroppo, più non è. Fin dall'antichità
essa veniva utilizzata per lavori d'intreccio e per realizzare imbottiture; e
che Palmaiola ne fosse ricca è documentato fin dal XIII secolo. Addirittura, il
botanico Andrea Cisalpino, la citava nel suo De plantis edito nel 1583.
Purtroppo, non ci è dato il motivo di sapere della sua quasi totale scomparsa:
se dovuta a un incendio, all'opera dell'uomo, o chissà a che altro. Ma
Palmaiola, nei suoi 1.600 metri quadrati, costituiti da rocce sedimentarie
arenarie e calcaree, ospitava anche una variegata fauna, sia stanziale sia
migratoria, poiché oltre a essere il regno dei gabbiani (particolare quello
"corso"), una volta era anche abitata da decine di conigli selvatici
e da innumerevoli lumache. E' poi notorio che vi nidificassero le berte, che in
inverno migrano a sud dell'Atlantico».