16 marzo 2014

IL VANGELO CI INTERROGA: “Il digiuno che io gradisco non è forse questo: che si spezzino le catene della malvagità, che si sciolgano i legami del giogo, che si lascino liberi gli oppressi e che si spezzi ogni tipo di giogo? Che tu divida il tuo pane con chi ha fame, che tu conduca a casa tua gli infelici privi di riparo, che quando tu veda uno nudo tu lo copra, e che tu non ti nasconda a chi è carne della tua carne? Isaia 58,6-7”

ilvicinato@ - «Tutto da ricostruire a Gerusalemme! La terza parte del libro del profeta Isaia, vede così il ritorno degli esiliati da Babilonia. Ma non basta essere finalmente ritornati alla terra della promessa, e riprendere il culto, in particolare il digiuno segno di pentimento, memoria dell’evento traumatico della fine di una certezza: l’inviolabilità di Gerusalemme, città della presenza del Signore. Questo culto ritrovato, accade nella situazione di un’economia urbana fallita fatta di legami oppressivi e di miseria. In questa situazione il digiuno come atto di culto non è elemento della ricostruzione, perché la rinuncia al cibo, la spogliazione, il sedersi per terra riguarda solo chi ha cibo, vestiti e casa mentre le strade di Gerusalemme sono piene di infelici. Il culto non è capace di ridisegnare la realtà del popolo di Dio perché chi vi partecipa non si fa carico del suo simile nella sua mancanza». Da una riflessione di Erika Tomassone, Pastora evangelica