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Unione delle Chiese metodiste e valdesi - «L’invito alla sequela che ci rivolge Gesù è davvero duro e ci spaventa.
Il vero discepolo deve essere pronto al martirio pur di testimoniare la propria
fede? Certamente questo è uno dei significati del testo, ma le parole di Gesù
ne contengono anche un altro. La croce che Gesù ci invita a portare non è la
sua, ma la nostra. La nostra croce è l’assunzione piena della responsabilità
della nostra vita. Tutto ciò che siamo deve essere presentato al Signore nella
certezza che Lui lo accoglierà e lo trasformerà attraverso il suo perdono.
Farsi carico del proprio lato oscuro non solo non è semplice ma anzi può essere
anche molto doloroso. Dio, però, ci invita rivolgerci a Lui senza timore, anzi
aprendoci con piena fiducia e ci restituisce, riscattando la nostra mediocrità,
un senso nuovo, più ampio e significativo della nostra esistenza. Quello che
siamo e quello che saremo è la croce da portare: accolti ma rinnovati, siamo
chiamati a intraprendere un viaggio alla ricerca del Cristo per poter trovare,
al termine, anche il nostro vero io. Non ci sono scorciatoie, e non c’è nessuno
che possa alleggerirci dal peso della nostra croce. Noi siamo la nostra croce,
non possiamo separarci da essa. Gesù, dunque, ci chiede di essere responsabili
di noi stessi fino in fondo, così come ha fatto lui, con il sentimento
fiduciale, però, che Dio accompagna ogni passo». Alcuni stralci della riflessione
di Eleonora Natoli, Pastore evangelico