lomarchetti@ - «Siamo a
Rio Marina nei primi anni sessanta, e più precisamente nella saletta al piano
terra del Palazzo del Burò, storico edificio che ospita gli uffici della società mineraria. Da Genova, cioè dalla sede generale
dell'Italsider, è arrivato un istruttore con lo scopo di abbiadare (educare)
alcuni impiegati sulle nuove procedure di contabilità: qui dovete scrivere
questo, qua riportare quest'altro, in questo rigo dovete sommare la colonna uno
e detrarre quanto ottenuto nella quattro, aggiungendo poi il totale della
colonna sette... etc. etc. etc. Dopo
ogni passaggio l'uomo venuto dalla "Sede" guarda gli astanti e
chiede: Ou belìn, avete capito! I quattro discenti lo fissano in modo
perplesso, tuttavia annuiscono con il capo, e altre volte dicono di sì con una
semplice occhiata. Quando l'istruttore ha terminato la lezione un impiegato,
forse il più audace del gruppo, lo guarda angosciato e con un filo di voce, un
po' balbettando proferisce: caro lei, qui c'è proprio da sciabatticà! Il
dirigente domanda: Ou belìn, cosa vuole dire? Lui con tono serafico, o per
meglio significare quasi angelico, risponde: che è proprio un lavorone. Forse
spera in un ripassino che tuttavia non vuole chiedere esplicitamente. Ma
l'istruttore che non capisce, reclama: Ou belìn, cosa significa? Allora
l'impiegato, fra il serio e il faceto, lo interpella: e belìn che vole dì!
Nessuno rammenta il susseguirsi di quella giornata, ma stretta è la foglia,
larga è la via, dite la vostra che ho detto la mia. Per meglio illuminarvi su
questa storiella, ricordo che "Ou belìn!" è un'esclamazione usata dai genovesi che
letteralmente indica i genitali
maschili, ma l'uso che ne fanno è tutt'altro che volgare, significa: in breve,
in conclusione! Mentre sciabatticare
è un verbo che noi riesi usiamo per indicare un'azione faticosa, anzi
difficoltosa da realizzare, e lavorone poi è sì una condizione laboriosa, ma anche parecchio complicata». Lorenzo (M)