umbertocanovaro@ - Rubrica IX “Della executione della Cosa
Giudicata (3a parte)”. Abbiamo visto le settimane scorse come dal giorno
della sentenza esecutiva ci fossero cinque giorni o per pagare la cifra alla
quale si era condannati con rito "civile", o per fare opposizione, e
il bene veniva direttamente venduto all'asta a meno che il debitore non volesse
tenere il bene e venderselo privatamente, per poi rifondere il suo creditore.
Adesso terminiamo l'analisi della disposizione: «Et se non li fusse proferto(offerto, nda) nulla
all'incanto, si possino dar al Creditore per la somma del debito e per le spese
extimati per doi huomini da eleggersi per la Corte non sospetti ne al debitore
ne al Creditore,reservando le ragioni al creditore contra il debitore di quello
che la (cosa, nda) tenuta o pegno si vendesse meno o fusse meno stimata; et
versa vice s'intenda reservata la ragione al debitore contra il Creditore, in
quanto (qualora, nda) la tenuta o pegno si vendesse o stimasse più; le quali
tutte e singul cose s'intendano nella lite (si decida cioè in giudizio); e
(per)somme excedente la somma e quantità di lire dieci e da indi in giù, si
proceda come di sopra nella Rubrica delle cause da lire dieci in giù.
Aggiungendo ancora che ciascheduno che recusera' dare il pegno o vero tenere(la
cosa per venderla, nda), caschi di fatto in pena di lire venticinque e possi
essere messo in prigione e non relassato per fin che non havera' pagato detta
pena et il Creditore per il debito et per le spese». Quindi, se la cosa non si
vendeva, o si vendeva a meno, il debito restava a carico (presumibilmente per
rifarsi sulle prime risorse future disponibili); e se ci si opponeva senza
motivo alla vendita all'incanto del bene, si poteva finire anche in galera. Umberto Canovaro