ilvicinato@ - Fonte Unione delle Chiese metodiste e valdesi - «La dura parola
di giudizio riguarda questa volta l’habitat di ogni vivente. L’ingiustizia
ambientale fa sì che la terra stessa si rivolti contro l’essere umano. Dio vede
l’ingiustizia: le terre depredate, le risorse fossili consumate senza ritegno,
le acque inquinate. Dio si schiera con chi muore di inquinamento, con le
foreste sradicate e le specie minacciate. La sua parzialità a favore della vita
è espressa già negli equilibri delicati della natura, in tutte quelle risorse
rinnovabili che permettono la vita. Ed è espressa nella storia: la condanna di
ogni violenza e rapina è sanzionata da un giudizio che non concede scampo,
proprio come le conseguenze dell’inquinamento e dei cambiamenti climatici. La
stessa bramosia di consumare sempre di più della società industriale attuale è
illustrata in quella "fame che non passa" di cui parla Michea. Il
giudizio però non è fine a sé stesso ma spinge alla conversione. Non abbiamo
dubbi sull’orizzonte di giustizia che racchiude il nostro rapporto con il
creato nella dimensione della fede. Michea indica l’umiltà, opposta alla
smodata bramosia con cui consumiamo il mondo: è il segno del limite che ci è
dato. Egli indica anche la misericordia, attenzione a ogni forma vivente:
proprio l’opposto della disattenzione frettolosa con cui sprechiamo risorse e
vite. Indica la promessa di Dio che rimette insieme i frammenti della nostra
vita: il seminare e il raccogliere, non più separati dall’ingiustizia, ma
ricomposti dalla grazia divina che mantiene l’equilibrio del pianeta anche
attraverso il nostro agire». Una riflessione di Letizia Tomassone, Pastore
evangelico