lomarchetti@ - «Achille Silvietti era mio bisnonno, era originario di Roccatederighi
(Maremma), e era giunto alla Marina di Rio insieme al padre a due fratelli. Il
babbo e i figli lavoravano in miniera, ma Achille, ancora giovane, preferì la
via del mare, anche se non sapeva nuotare. Ben presto divenne nostromo
(sottufficiale) e fu amato a rispettato dagli uomini della marineria riese. Fu
colpito da un ictus che gli paralizzò la parte destra del corpo (braccio e
gamba). Si aiutava con un bastone e con galliega (basco) in capo e fusciacca
(fascia) intorno alla vita, entrambi neri, andava spesso sugli Spiazzi a
guardare il suo mare che tanto amava. Un giorno passò un corteo di fascisti con
tanto di gagliardetto e Achille, a causa della sua invalidità fu
impossibilitato a togliersi in copricapo, come invece era obbligatorio. Allora
ci pensò uno squadrista che gli gettò la galliega in terra e la calpestò e poi
in modo perentorio aggiunse: “Andate a letto!”. Il mio bisnonno di rimando, con tono sarcastico, gli chiese: “E domattina a che ora mi devo alzare?”, così
lo gelò. Un fascista che lo aveva navigato (lavorato insieme) come nostromo, raccolse da terra
il berretto e in modo rispettoso glielo rimise in testa». Lorenzo M.