lomarchetti@ - «Quando arrivava l'autunno finivano le dolci serate estive trascorse nel refrigerio dei vicinati. Arrivava il vento secco di maestrale e si rimaneva a casa. Così, in attesa di andare a letto, ci si radunava attorno alla lettrice che non mancava mai in ogni famiglia perché in gioventù aveva frequentato le scuole dai protestanti. Questa, a lume di una fievole lampadina, o addirittura della fiamma di una candela, leggeva i brani della Divina commedia, della Gerusalemme liberata, delle Mie prigioni, dei Promessi sposi. Quando la lettrice di turno era indisposta, la sostitutiva una narratrice che solitamente raccontava storie di morti risuscitati che uscivano dal cimitero in disuso dei Casotti, oppure da quello della Chiusa o delle Perelle, fantasmi che giravano per il paese la notte del 2 novembre, streghe che s’incontravano nei carugli del Castello o della Pergola, e così via. Queste storie spaventavano i bambini che finivano a letto in mezzo al babbo e alla mamma e con le gambe arronchiate per paura di essere tirati per i piedi dall’uomo nero. Tutto questo finì negli anni '50 quando arrivò la televisione. Inizialmente chi non andava al bar si recava in casa della famiglia di parenti o amici che aveva acquisto l'apparecchio televisivo a rate, e ci si andava per assistere il Musichiere o agli sceneggiati in voga in quel momento. In occasione de “Il romanzo di un giovane povero” il sarto Terigi s’immedesimò talmente con la scena dello strazio del bambino che infuriato, lanciò lo scaldino contro la tv e solo casualmente non la colpì, ma provocò un fuggi fuggi generale tra gli spettatori, che impauriti abbandonarono il salotto di Velia e si rifugiarono sul pianerottolo. Così, non solo ci fu una grande spavento, ma nessuno di loro seppe come finì quella puntata». Lorenzo M.