lomarchetti@ - «La fame anche se passata
la guerra continuava a essere tanta, il cibo mancava e inoltre c’era la
borsa nera con prezzi praticati da strozzini. Era più fortunato chi aveva un “pezzo
d’orto” da coltivare, con qualche gallina e qualche coniglio, c’era anche chi aveva una capretta
che assicurava il latte quotidiano alla famiglia. Questo, però,
richiedeva non lasciare incustodito quel “piccolo tesoro”, pertanto la moglie
e i figli vigilavano i loro beni durante il giorno, quando il marito era in
miniera, mentre a lui spettava sorvegliare il campo nella notte, dormendo nel casotto degli
attrezzi da lavoro con la capretta e un bastone a portata di mano. C’era tuttavia chi non aveva né l’orto, né gli animali né la
voglia di lavorare, e così la notte girava per le campagne cercando di trafugare
i beni altrui. Fra coloro c’erano due ladruncoli che si addentrarono in una
campagna dove, buon per loro, il proprietario-guardiano, stanco dopo un’intensa
giornata di lavoro, si era addormentato e non udì i due rapinatori. La mattina,
accortosi del furto, si recò alla caserma dei carabinieri è denunciò l’accaduto.
Il maresciallo, fatte poche indagini, si
accorse che in una casa di paese si commerciavano insolitamente conigli e pollame, e denunciò moglie, marito e cognato quali autori del furto. Il processo si tenne Portoferraio dove i tre, consigliati dal
loro avvocato, negarono ogni addebito. Ma il pretore, seppure magistrato di
lunga navigazione,
durante l’interrogatorio del terzo imputato si spazientì: “Senta, va bene
rubare i conigli, ma poi lasciare che gli altri animali fuggano e divorino pure
tutto il coltivato, mi pare davvero troppo!”. Lui, imbarazzato e rosso in faccia per la
vergogna, si giustifico: “Io l’avevo detto a mio cognato di chiudere le gabbie!”.
E così si dette la zappa sui piedi. Larga la foglia, stretta la via dite la
vostra che ho detto la mia… ». Lorenzo M.
