lomarchetti@
- «All’Isola d’Elba durante l’ultima
guerra e pure nel dopoguerra la miseria si tagliava a fette, gli stabilimenti
siderurgici di Portoferraio erano stati bombardati, nelle miniere del versante
orientale si lavorava a turni di quindici giorni, la pesca era ridotta a causa
delle bombe esplose in mare, l’unica che si salvarsi era l’agricoltura, ma non
gli allevamenti di bestiame razziati dalle truppe di liberazione. In sostanza, tutti
i generi alimentari dovevano arrivare dal continente con tutti i pregi e i molti
difetti che questo comportava. A Piombino era fatta una cernita su ciò che
doveva rimanere sulla terraferma, e ciò che poteva essere imbarcato sui
bastimenti e portato nei porti elbani. Si dice che i macellai piombinesi, insieme
quelli della Val di Cornia, visitassero i recinti delle vacche che tastavano con
un pizzicotto, e quindi sentenziavano: "Questa va bene, lasciala qui.
Questa è proprio magra, mandala agli isolani". Insomma, solidarietà zero!». Larga la
foglia, stretta la via dite la vostra che ho detto la mia…». Lorenzo M.
