ilvicinato@ - «Una donna, grazie all’abilità di Gesù, scampa ad una condanna
per lapidazione. I guardiani della Legge ebraica che l’hanno usata come un caso
da discutere per poter incastrare e condannare Gesù come trasgressore di quella
stessa legge, hanno lasciato il campo. Gesù, a rischio di condanna., fino a quel
momento è rimasto chino a terra, a tracciare sulla terra segni misteriosi., non
ha voluto mettersi sullo stesso piano degli accusatori, ha rinunciato ad ogni
atteggiamento di sfida. La misericordia scrive sulla morbida terra, il
contrario della durezza dello spirito di condanna. Solo ora si alza, si mette
faccia a faccia con la donna scampata, solo con lei si mette sullo stesso
piano. Una persona per lui non può essere mai un caso da studiare, per
dibattere, per dividersi tra chi ha torto e chi ha ragione. Gesù vede nella
donna una persona con la sua vita, e non un caso morale. La donna è rimasta lì,
senza potersi dare da sola la libertà di andarsene, come bloccata dal suo ruolo
di donna accusata. E poi c’è pur sempre ancora un uomo presente, un maestro.
Alla fine se ne andrà perché Gesù la congeda non con un atto di indulgenza
buonista, ma con un atto liberatorio: neppure io ti condanno. Nel congedo di
Gesù (va e non peccare più) sta la possibilità di una vita nuova e libera dalla
minaccia della condanna. Io non ti condanno è la parola che è rivolta a noi e
che apre una possibilità di vita liberata». Da una riflessione di Erika
Tomassone, Pastora evangelica