19 luglio 2014

STATUTA RIVI (sec. XIII), LE NORME DELLA COMUNITÀ MEDIOEVALE: “La dote, ovvero la posizione giuridica delle donne”

umbertocanovaro@ - «Dalla lettura delle rubriche XVII  Dell'Alimenti delle  donne e XVIII  Della exattione delle Doti, si evince una posizione giuridica della donna, che seppur ovviamente svantaggiata rispetto all'altro sesso, essendo l'indotazione il modo proprio per tagliarla fuori dalla ripartizione del patrimonio ereditario (appannaggio della discendenza maschile) aveva comunque qualche prerogativa in più rispetto ad altre realtà locali, dove la chiusura verso la titolarità di diritti patrimoniali del soggetto femminile era pressoché totale. Se essa consisteva in denaro o altri beni mobili, nel caso di vedovanza  non poteva richiederla indietro se non trascorso un anno dal decesso del marito, e con l'accordo degli eredi "Ancora s'ordina che se la donna haverà hauta le sue doti in denari o vero in cose mobili non le possa retrare, ne domandare all'herede del Marito vanti un anno dal dì della morte del marito (...)". Idem per le cose stabili, cioè immobili, di un certo pregio. Il corredo però, poteva essere restituito subito, così come gli immobili di scarso valore, sempre in caso di premorienza del marito. Il periodo dell'anno dalla morte del coniuge, era previsto in quanto solitamente si consentiva alla donna che rimaneva vedova, di poter continuare ad abitare nella casa maritale almeno per un certo periodo dopo l'evento luttuoso, mantenuta dai figli e dagli agnati. In questo senso, la rubrica XVII degli Statuta Rivi, è estremamente chiara nello specificare questo diritto a favore della vedova:"... abbia il vitto e vestire e più di un anno, fin a tanto che non sia satisfatta dalle sue doti e ragioni.... ma se la donna si partirà di casa del marito inanzi sia finito l'anno luctuoso, all'hora habbia solo la metà di quello...". Decorso quel periodo, gli eredi potevano restituire alla donna la dote e far si che tornasse presso la casa avìta. Gli alimenti, svolgevano quindi una funzione compensativa nei confronti dell'uso dei beni dotali goduto dai successori. Anche se nulla spettava a quella vedova la cui dote era stata consumata durante il matrimonio». Umberto Canovaro