umbertocanovaro@ - Parte 2° dell’Appendice XI - Abbiamo
visto la scorsa settimana come non fosse possibile che i relitti di barche
potessero essere accaparrati da chicchessia, e leggeremo come spettasse solo ai
pubblici poteri di classificarli e sequestrarli in attesa del (possibile)
proprietario. La norma era scritta in
un Decreto a firma di "Iacomo VI
Aragona d'Appiano Signor di Piombino, dell'Isola dell'Elba, Montecristo,
Pianosa", del 6 marzo 1583 di facile lettura: «Non sia lecito ne a patroni
delle Barche che si fussero salvati, ne a mercanti che vi avessino interesse
ancora esse espressamente proibito il
donare o pagare cosa alcuna ne a recuperatori
ne a qual si vogli altra persona, fino a che tali barche e robe non
saranno restituite loro et conseniate d'alcuno o dalla corte; et allora que
Notai che anderanno affare l'inventario (delle cose recuperate, nda), anzi
(prima, nda ) che vi seranno andati, abino solamente per loro mercede uno scudo
d'oro et il commissario el (come ,nda) Depositario; la mercede de recuperatori
abbi da essere dichiarata, secondo le fatiche dall'Auditore, dal commissario e
dal corsalo della Natione e dua (persone) faccino sententia; e quelli delle
guardie che staranno su le Barche si intenda di lire una per ciascuno il
giorno, secondo seranno Barche Mercantie o Robe; ma se non ne saranno, non
ochoreranno guardie, per risparmio delle quali spese». Umberto Canovaro