30 dicembre 2016

C'ERA UNA VOLTA IL PROFUMO DEL NATALE: “L’aroma della schiaccia briaca si spandeva dalla cucina a tutta la casa e la rallegrava, annunciando l’imminenza della festa”

ilVicinato@ - Fonte: Lo Soglio - «Avvento voleva anche dire prepararsi alla produzione di dolci casalinghi, tra i quali, regina, spiccava la schiaccia briaca. E la domanda più frequente di noi bambini alle donne di case era sempre quella: “Ma quando la facciamo?”. Finalmente arrivava il gran giorno e sul marmo bianco del tavolo di cucina, dai nonni, a Capocastello (Cavo), col mare a cinquanta metri che cantava la sua nenia, erano posati con cura tutti gli ingredienti e cominciava la faticosa lavorazione. L’aroma si spandeva dalla cucina a tutta la casa e la rallegrava, annunciando l’imminenza della festa, il pranzo di famiglia e il compiersi di qualcosa di speciale, atteso tutto l’anno. Ecco, quello è rimasto per me “il profumo del Natale”, non ne conosco altri di più cari ed evocativi. Naturale corollario del tempo d’Avvento era la composizione del presepe e dell’albero: per quest’ultimo, di solito il babbo o il nonno portavano una piccola pianta dalla macchia col suo “pane”, spesso un pino, che veniva messo in un vaso di terracotta; poi la mamma scartava da una grande scatola gli addobbi: si trattava di palline di vetro colorato, belle e fragili, che si rompevano facilmente e per questo solo ai bambini più grandi era consentito toccarle con grande precauzione. Ma era il presepe a richiedere un lavoro più complesso, perché bisognava costruire con la cartapesta la grotta e poi andare sulla spiaggia a prendere un po’ di sabbia e sassolini per la strada dei pastori e dei Magi. Di ritorno (dalla messa, ndr) trovavamo in sala la tavola apparecchiata da mamma e zia, con la tovaglia, le decorazioni, i piatti, i bicchieri, le stoviglie più belle della casa. Sotto il piatto dei babbi spuntava un angolo della letterina di Natale, meravigliosamente decorata con immagini natalizie e lustrini, già preparata a scuola, prima dell’inizio delle vacanze, dove noi bambini promettevamo solennemente impegno e obbedienza ai genitori per tutto l’anno a venire, esprimendo affetto e auspici. Si cominciava dunque il gran pranzo, preceduto dalla tradizionale formula di ringraziamento e preghiera, sollecitata dai nonni a tutta la famiglia. Poi era un trionfo di cibo, di chiacchiere, di brindisi, di dolci. Oltre alla schiaccia briaca, il panforte, il torrone, i cavallucci,, mentre si scambiavano i piccoli doni tenuti nascosti fino a quel momento: bamboline, trenini, libri, pantofole, foulard, scatole di fazzoletti ricamati, profumi alla violetta. La confusione era grande e le donne di case apparivano provate, ma era tanta anche l’allegria e Natale passava in un baleno». L’Intero articolo di Maria Gisella Catuogno  è pubblicato sulla rivista Lo Scoglio, tuttora in edicola.