ilVicinato@ - Fonte: Lo Soglio - «Avvento voleva anche dire prepararsi alla
produzione di dolci casalinghi, tra i quali, regina, spiccava la schiaccia
briaca. E la domanda più frequente di noi bambini alle donne di case era sempre
quella: “Ma quando la facciamo?”. Finalmente arrivava il gran giorno e sul marmo
bianco del tavolo di cucina, dai nonni, a Capocastello (Cavo), col mare a
cinquanta metri che cantava la sua nenia, erano posati con cura tutti gli
ingredienti e cominciava la faticosa lavorazione. L’aroma si spandeva dalla
cucina a tutta la casa e la rallegrava, annunciando l’imminenza della festa, il
pranzo di famiglia e il compiersi di qualcosa di speciale, atteso tutto l’anno.
Ecco, quello è rimasto per me “il profumo del Natale”, non ne conosco altri di
più cari ed evocativi. Naturale corollario del tempo d’Avvento era la
composizione del presepe e dell’albero: per quest’ultimo, di solito il babbo o
il nonno portavano una piccola pianta dalla macchia col suo “pane”, spesso un
pino, che veniva messo in un vaso di terracotta; poi la mamma scartava da una grande
scatola gli addobbi: si trattava di palline di vetro colorato, belle e fragili,
che si rompevano facilmente e per questo solo ai bambini più grandi era
consentito toccarle con grande precauzione. Ma era il presepe a richiedere un
lavoro più complesso, perché bisognava costruire con la cartapesta la grotta e
poi andare sulla spiaggia a prendere un po’ di sabbia e sassolini per la strada
dei pastori e dei Magi. Di ritorno (dalla messa, ndr) trovavamo in sala la
tavola apparecchiata da mamma e zia, con la tovaglia, le decorazioni, i piatti,
i bicchieri, le stoviglie più belle della casa. Sotto il piatto dei babbi
spuntava un angolo della letterina di Natale, meravigliosamente decorata con
immagini natalizie e lustrini, già preparata a scuola, prima dell’inizio delle
vacanze, dove noi bambini promettevamo solennemente impegno e obbedienza ai
genitori per tutto l’anno a venire, esprimendo affetto e auspici. Si cominciava
dunque il gran pranzo, preceduto dalla tradizionale formula di ringraziamento e
preghiera, sollecitata dai nonni a tutta la famiglia. Poi era un trionfo di
cibo, di chiacchiere, di brindisi, di dolci. Oltre alla schiaccia briaca, il panforte,
il torrone, i cavallucci,, mentre si scambiavano i piccoli doni tenuti nascosti
fino a quel momento: bamboline, trenini, libri, pantofole, foulard, scatole di
fazzoletti ricamati, profumi alla violetta. La confusione era grande e le donne
di case apparivano provate, ma era tanta anche l’allegria e Natale passava in
un baleno». L’Intero
articolo di Maria Gisella Catuogno è
pubblicato sulla rivista Lo Scoglio, tuttora in edicola.