lomarchetti@ - «Lui non era proprio un cittadino modello, però se c’era
bisogno di un donatore di sangue era il primo a farsi avanti. Così come aiutava
chi era più povero di lui. Non sapeva né leggere né scrivere, aveva imparato a
fare la sua firma, ma se avesse avuto la possibilità di studiare sarebbe stato
un buon avvocato. Un giorno fu accusato di avere rubato la collezione dei
minerali di un noto dirigente della società mineraria. I due erano davanti al
comandante della locale stazione dei carabinieri e lui disse: “Sì è vero, io
l’ho rubati io, ma lui, dove li ha presi? La pratica fu archiviata. Una volta
la sua amata scappò da casa e si rifugiò presso un conoscente nella campagna di
Porto Azzurro. Lui andò a riprenderla, ma il contadino lo scaccio a scoppi di
fucile da caccia sparati in aria. Lui, però, non si scoraggiò e rispose con la
dinamite distruggendo il pollaio e le gabbie dei conigli. La mattina dopo lo convocò
il maresciallo dei carabinieri, al quale rispose: “Marescià ho semplicemente
risposto al fuoco!”. Non sempre il nostro uomo riusciva a cavarsela, più di una
volta finì nel carcere mandamentale di Livorno, dove, per quanto possibile era
seguito da qualche paesano. Il padre di
un ragazzo che faceva il militare nella città labronica, chiese al figlio di
andare a trovare quel paesano, passarci una parola, portargli i suoi saluti e
qualche pacchetto di sigarette. Il giovane si avviò nella zona dell’edificio
carcerario che però non riusciva a identificare, allora entrò n un bar e
chiese: “Cerco un amico che è ai Domenicani”. Il cameriere rispese: “Il carcere
è lì di fronte, ma bell’amici che c’hai!”». Lorenzo M.