lomarchetti@ - «Lui
aveva ventidue anni e da qualche mese lavorava all'ufficio tecnico del comune,
una mattina gli si presentò una donna la quale senza i consueti formalismi
(permesso, buon giorno, mi scusi) gli disse: "Voglio la copia della
licenza edilizia della mia casa che mi è stata richiesta dall'ufficio delle
imposte dirette". Il giovane le chiese cortesemente il nome del titolare
della pratica. Lei, secca rispose: "È intestata a mio marito". E
l'impiegato: "Ho capito signora, però mi dica come si chiama suo marito".
La donna stizzita: "Come non lo conosce, lo conoscono tutti, mio marito
era l'avvocato Paraponzipò, altro che lei dice di non conoscerlo!". Il
giovane, fece finta di non avere udito l’ultima frase, e pazientemente cercò
quel nome nella rubrica delle pratiche edilizie, ma non lo trovò. Di questa
vana ricerca diede notizia alla signora, la quale perso definitivamente il lume
della ragione, sbraitò: "Non è possibile, chissà che fine gli avete fatto
fare, i fogli li avete fatti sparire voi comunisti che odiate la mia famiglia".
A quel punto anche il giovane perse l’autocontrollo: “Senta, io all’epoca dei fatti avevo dieci anni ed era alle elementari… bun giorno”. Il nostro 22enne aveva intuito tuttavia come all’origine
della vicenda ci fosse che l’avvocato aveva acquistato il terreno con il
permesso a costruire intestato a un’altra persona, però scelse di tacere. Per la donna, invece, iniziò un lungo peregrinare da un ufficio pubblico all'altro. Insomma, larga
la foglia, stretta la via dite la vostra che ho detto la mia…». Lorenzo M.